" Luca, Roberto e Imma. Un cronometro e l'Inno di Mameli"

Il segretario generale della Finp, Franco Riccobello, si racconta. Guardando indietro e guardando avanti

Alla fine, bisogna parlare di uomini. Perché sono gli uomini che fanno le cose, sono gli uomini che prendono le decisioni, sono gli uomini che scrivono il futuro indipendentemente dalle etichette che gli vengono appiccicate addosso o dai ruoli che ci si trovano a ricoprire. Franco Riccobello è il Segretario Generale della Finp ed è uno di quegli uomini che fanno la fortuna dei posti in cui lavorano: per la loro capacità di migliorare le persone e di fare squadra, per la loro storia.

Già, la storia: perché parlando con Franco Riccobello la parola storia viene fuori spesso, nei discorsi e nelle sensazioni. La storia quella scritta, quella raccontata, quella fatta, quella futura. La storia raccontata da una persona innamorata del suo mondo e di quello che fa.  “Bisogna - racconta seduto su una panchina davanti alla piscina di Lignano, dove si stanno tenendo le World Series di Para Swimming - fare un bel salto indietro. Fino al 1978, anno in cui entrai a far parte di questo mondo”.


Facciamolo.

Ero fisioterapista al Santa Lucia di Roma, e allo stesso allenatore di nuoto. Il mio lavoro mi portava a entrare in contatto quotidianamente con la disabilità fisica, tanto che è stato abbastanza naturale mettere insieme le due cose: la disabilità, e il nuoto.


E’ stato naturale, dice. Ma è stato anche semplice?

Semplice, no. Anche perché io ho affrontato questa sfida nell’unico modo in cui sapevo di essere capace. Di fronte a me, non vedevo disabili: vedevo atleti. E da atleti li ho trattati, fin da subito: mi sono preso del pazzo, e forse lo ero.


Del pazzo: perché?
Andavo in piscina da questi ragazzi con un oggetto semplice, ma allo stesso tempo potentissimo.


E quale?

Un cronometro. All’inizio tutti quanti sgranavano gli occhi, nel vedere che trattavo i miei nuotatori come degli atleti: con le tabelle di allenamento, il carico e lo scarico, i tempi e i recuperi. Oggi si fa così, nel 1978 lo facevano in pochi.


E la storia, poi, com’è continuata?

Con la nomina a CT della nazionale, nel 1981: ruolo che ho portato avanti fino alle Olimpiadi di Atene 2004, prima di cederlo a Riccardo Vernole in un passaggio di testimone ideale e naturale. Perché Riccardo, l’ho davvero visto crescere e diventare grande.


Ed eccoci in Federazione.

La mia idea, il mio sogno, era quello di far compiere un cambio di passo: che era diventato necessario, perché serviva cambiare mentalità ragionare in modo diverso.


Come?

Era necessario che la parte “politica” iniziasse a ragionare con la mentalità del tecnico, con la testa di chi era stato in piscina e portava ancora addosso l’odore del cloro. Con qualcuno che fosse stato dall’altra parte, e che quindi fosse perfettamente consapevole delle necessità, delle problematiche, dei desideri. Questo è stato, fin da subito, il mio modo di lavorare: un raccordo tra lato tecnico e lato politico. Dal lato pratico, ho cercato fin da subito di mettere le società al centro del progetto: è la Federazione al servizio delle società, mai il contrario. La Federazione deve essere un supporto: presente, reale, concreto. Un alleato prezioso per ogni società sparsa per l’Italia.


E questo risultato come è stato raggiunto?

Primo passo: abbiamo licenziato 600 istruttori Finp. Perché avevamo bisogno di gente nuova, di gente qualificata, di gente che sapesse insegnare a nuotare ma allo stesso tempo che sapesse come trattare con un disabile. Poi abbiamo sposato un motto: mai smettere di imparare. I nostri tecnici sono in continuo e costante aggiornamento, sono sempre presenti a corsi nazionali e internazionali, crescono ogni giorno e insieme a loro cresce tutto il movimento. I risultati sono una conseguenza, naturale e ovvia.


Ecco, parliamo di risultati.

L’Italia è la terza nazione al mondo: questo è il risultato. Che è frutto di un lavoro importante e non è arrivato per caso, e che si è portato dietro una grande vittoria.


Ovvero?

Che ora se ne parla. Ora ne parlano tutti. E questa, forse, è la vittoria più bella.


Si dice che il vero momento di svolta per lo sport paralimpico sia stato Londra 2012: è corretto?

In parte. A Londra c’è stata la svolta, i media hanno raccontato tutte le gare e il mondo ha conosciuto i nostri atleti. Ma Londra è stato un traguardo, frutto di una gara iniziata qualche anno prima.


Per esempio?

Seoul 1988: per la prima volta il Cio ha stabilito che le Paralimpiadi si svolgessero nella stessa città delle Olimpiadi, obbligando le città candidate ad ospitare le Olimpiadi a organizzare anche le Paralimpiadi. E poi, io ho nel cuore Barcellona 1992: con gli stadi, i palazzetti e le piscine piene di gente, piene di ragazzi giovani. Che facevano la fila per venire a vedere gli atleti delle Paralimpiadi.


Ora se ne parla, ha detto prima. Ma a chi bisogna rivolgersi?

Al mondo. Alle famiglie. Alle mamme. A una mamma che si trova un bambino speciale e magari ha paura, e noi a questa mamma dobbiamo dire che suo figlio può fare tutto quello che vuole. Nello sport, nella vita. Ecco perché organizziamo i Campus giovanili nei quali ospitiamo le famiglie. All’inizio, quando diciamo ai genitori di lasciarci i loro figli e di andare via, sono tutti - bambini e adulti - spiazzati e spaventati: ma nel giro di due giorni i bambini vogliono stare da soli, perché hanno imparato a “fare da soli”. Bellissimo, no? Più di una medaglia olimpica.


Ora, facciamo qualche nome.

Luca Pancalli. Lui ci ha regalato la cultura della disabilità, la conoscenza dello sport, la competenza per fare la differenza a livello gestionale e organizzativo. A lui si deve un cambio di passo epocale, decisivo.


Poi?

Roberto Valori, l’attuale presidente della Finp. Un uomo appassionato ed entusiasta, uno “che ci tiene”, uno che vive la Federazione a 360 gradi e 24 ore al giorno. E, cosa importantissima, un grande politico: che parla con le istituzioni, che si sa muovere bene, che sa ottenere i “sì”. E che porta risultati. Lavorare con lui è un piacere, un onore.


L’ultimo nome.

Ho citato Luca e Roberto, che sono stati miei atleti. Ne cito una terza, importantissima per tutto il movimento: Imma Cerasuolo.


World Series a Lignano: com’è andata?

Molto bene. Era la seconda edizione, e devo dire che gli organizzatori hanno saputo fare tesoro delle criticità riscontrate nel primo anno per migliorarle: la loro passione e la loro forza di volontà si sono viste, e ci sono arrivati anche i complimenti da parte dell’Ipc. Mi è piaciuto lo spirito con cui Federazione e Comitato Organizzatore Locale hanno collaborato, mi è piaciuto il risultato finale e il modo in cui l’evento è stato comunicato.


E ora chiuda gli occhi e guardi avanti. Cosa vede?

Chiudo gli occhi e sento suonare l’Inno di Mameli. Che, certo, significa la vittoria di un nostro atleta: ma significa anche tante altre cose. Significa che ogni sforzo fatto, ogni decisione, ogni scelta, ogni fatica: tutto è andato nella direzione giusta. Le note dell’Inno sono emozionanti, per tutti: per l’atleta che sta sul podio, ma anche per quelli che sul podio non ci salgono fisicamente eppure è come se fossero lì. Ecco: mi guardo avanti, e sogno di sentire tante volte suonare il nostro Inno.


(di Francesco Caielli  - Ph Pietro Rizzato)